giovedì 23 ottobre 2014

Architettura Cluniacense e l'Abbazia di Cluny

Quello che andremo adesso ad analizzare sono le tre fasi dell’abbazia di Cluny e con esse indicheremo i caratteri dell’architettura cluniacense, infatti per quanto riguarda l’ordine cluniacense (un ordine monastico benedettino), la regola ha influenzato in maniera determinante l’architettura. E’ importante Cluny perché è un’architettura che si pone come cerniera tra quelli che sono i caratteri distintivi dell’architettura romanica rispetto a quelli che saranno i caratteri peculiari dell’architettura gotica, nel senso che compariranno (ancora prima che nell’architettura cistercense) degli elementi architettonici che al momento rimangono puramente estetici, ma che nell’architettura gotica assumeranno un carattere strutturale importante (come la presenza dell’arco spezzato, che non ha i caratteri statici dell’architettura gotica e del suo arco a tutto sesto, in quanto funziona ancora come un arco a tutto sesto).
Cluny è una cittadina della Borgogna di fondazione romana, la quale con il tempo e sotto l’imperatore Carlo Magno fu donata, con tutti i suoi possedimenti a Guglielmo d’Aquitania, detto il Pio, il quale decide di donare tutta la proprietà all’abate Bernone, il quale già reggeva una piccola abbazia di monaci riformati secondo l’ordine di Benedetto di Aniane, il quale aveva riformato la regola di San Benedetto da Norcia. Bernone aveva dato un ruolo predominante alla preghiera e alla liturgia religiosa, imponendo ad ogni monaco l’obbligo dello svolgimento di una messa quotidiana, proprio la necessità da parte della comunità monastica di dover celebrare quotidianamente la messa ha derivato in campo architettonico la necessità di avere molti altari all’interno della chiesa stessa perché spesso le celebrazioni della messa avvenivano in contemporanea. Un’altro ruolo molto importante che Benedetto di Aniane aveva dato al nuovo ordine riformato era l’inno dei salmi, i quali andavano cantati, per cui anche il canto, con le sue necessità avrà un ruolo importante nella determinazione dello spazio architettonico in termini di acustica, quindi la necessità di avere degli spazi non bassi ma delle navate piuttosto alte era fondamentale per un’acustica eccellente.
Altro elemento fondamentale furono gli ambiti di preghiera, che determineranno la costituzione all’interno di questi complessi monastici la formazione di ampli corridoi dedicati ai momenti di preghiera dei monaci.
Tutta l’economia del monastero veniva portata avanti dai campi tutt’attorno, perché nel momento in cui Guglielmo il Pio dona le sue proprietà, dona anche i suoi contadini, i quali diventano proprietà di questo nuovo convento.
L’abbazia era talmente importante che quando Roma sarà in pericolo, le reliquie che qui erano custodite furono in parte spedite a Cluny per essere conservate, questo dal punto di vista architettonico comportò un’ulteriore sviluppo dell’edificio religioso; non a caso nel suo momento di massimo splendore 1100-1200 raggiungerà le dimensioni di San Pietro.
Cluny, a differenza dei monasteri cistercensi, sarà un punto accentratore, nel senso che avrà numerose derivazioni, che dal punto di vista della gestione dell’ordine erano tutti delegati a Cluny, qui venivano portate tutte le offerte che arrivavano dai vari monasteri e naturalmente questa opulenza dal punto di vista economico diede luogo in ambito architettonico a strutture che riflettevano la magnificenza dell’ordine, in particolare sono architetture che dal punto di vista della decorazione devono essere didascaliche (come accade nelle chiese romaniche), sopratutto attraverso la scultura.
In generale le varie abbazie cluniacensi sono tutte diverse tra di loro, in funzione delle preesistenze architettoniche, ma anche in funzione delle diverse esigenze dei singoli monasteri.
Il Borgo di Cluny si era sviluppato lungo una via di pellegrinaggio ed era prevalentemente dedicato all’agricoltura; la necessità della presenza degli altari sarà indicativo per le architetture di pellegrinaggio, caratterizzate appunto da molte cappelle in grado di ospitare le varie reliquie.
I momenti di maggiore interesse dell’abbazia di Cluny sono essenzialmente tre, Cluny I (che corrisponde al 927 circa, ad opera dell’abate Bernone), Cluny II (che rappresenta una sostanziale espansione della prima Cluny) e Cluny III (che non include alcuna delle architetture precedenti).
La prima Cluny era dedicata alla Vergine Maria, erano presenti al suo interno quattro altari, nei quali si svolgeva anche il culto dei morti (tipicamente cluniacense); si pensò di ampliare l’impianto e per questo venne edificata una nuova chiesa, quella che chiamiamo Cluny I

Cluny A (910-926)
L’abbazia di Cluny fu fondata nel 910 dal Duca Guglielmo d’Aquitania, detto “il Pio”; era dedicata ai Santi Pietro e Paolo, ed era la sua residenza di caccia di Cluny. Era costituita da 2 corridoi laterali, e dalla presenza di un transetto rettilineo in cui sono collocati tre altari, e da un altare centrale collocato in prossimità dell’ingresso.

Cluny I (926-948)
Bernon intraprese la realizzazione di una prima chiesa, ancora piuttosto modesta definita Cluny I, che fu consacrata nel 926. Inizialmente Cluny era un piccolo edificio con coro e cappelle radiali che custodivano reliquie; in ogni cappella c’era un altare perché venivano svolte contemporaneamente più messe. L’edificio comprendeva un portico d’ingresso, un atrio che conduce alla corte, una galilea ma nessun transetto (il vano da crociera era individuato comunque da 4 colonne) e un’abside internamente circolare. È presente un campanile che va a collocarsi nel vano di crociera individuato da quattro grandi pilastri che determinano la zona dell’altare. Il campanile è un elemento fondamentale dell’architettura cluniacense. È presente anche un’abside circolare.

Cluny II
Iniziata nel 948 e conclusa nel 981 (anno della consacrazione), viene realizzata sotto l’abate Aimardo (942-965). Tra Cluny I e Cluny II non si costruiscono nuovi edifici, ma si completano quelli preesistenti. Si studiano diverse strategie per migliorare l’acustica legata alla pratica del canto. Per quanto riguarda la pianta, il coro con le navatelle si concludeva con un’abside e 2 absidiole, e aveva 2 ambienti rettangolari annessi; uno stretto transetto era preceduto da un corpo longitudinale a 3 navate di 7 campate. L’edificio, per l’epoca, aveva dimensioni notevoli. Intorno al 1000 l’abate Odilone (994-1049) aggiunse a ovest una galilea  preceduta da un atrio.
Più difficile è tentare di ricostruire l’alzato dell’edificio; probabilmente la chiesa aveva un transetto basso con un alto campanile sull’incrocio col corpo longitudinale, un coro coperto da volte, una navata centrale a soffitto piano (venne voltato soltanto al tempo di Odilone) e 2 campanili che segnavano l’ingresso della galilea. La navata fu demolita poco dopo il 1118 per ingrandire il chiostro mentre il coro, il transetto, la galilea e l’atrio scomparvero nel XVIII secolo.

Cluny III
Fu iniziata nel 1088 e fu consacrata nel 1095. Fu costruita sotto l’abate Ugo (1049-1109) e finanziata da Ferdinando I di Castiglia. La costruzione del nartece, intrapresa in seguito, si prostrasse fino al XIV secolo. Gli architetti che si occuparono del progetto furono un matematico e un musicista (uso di archi a sesto acuto, scelti non per via strutturale ma per una migliore acustica). Cluny III fu la più grande chiesa del Medioevo (fu l’unico edificio religioso a superare le dimensioni di San Pietro).
Il corpo longitudinale, suddiviso in 13 campate, aveva 5 navate; tra i 2 transetti di diversa ampiezza, sormontati da 4 campanili impostati su cupole, erano comprese 2 campate di coro a 5 navate e, al di là del piccolo transetto, il coro proseguiva con una campata a 3 navate, seguita da un deambulatorio più stretto con 5 cappelle radiali.
Sia in pianta che in alzato ci sono elementi che anticipano il gotico; le caratteristiche architettoniche sono la navata allungata con navate laterali, il transetto sporgente stretto e più basso della navata; il coro sviluppato a gradoni (origine mozarabica); le absidiole a forma di ferro di cavallo e la presenza di corridoi laterali.
In alzato si nota la presenza del campanile che si colloca nel vano di crociera, e un vano rettangolare che introduce al coro; la decorazione esterna è effettuata a pensili.
Cluny III si colloca come fondamentale nel passaggio tra architettura romanica e gotica sia in pianta che in alzato.
Appare l’arco spezzato (anche se somiglia all’arco a sesto acuto non funziona ugualmente): esso si riteneva essere quello che consentiva una maggiore diffusione del suono. L’arco formalmente è a sesto acuto ma strutturalmente no, resta nell’ambito dell’architettura romanica  basato sulla giustapposizione di campate. L’impianto è regolato da sistemi proporzionali, presenta un doppio transetto, e un coro a cappelle radiali caratterizzato da un deambulatorio.

Caratteri dell'Architettura Cistercense

Con questo tipo di argomento ci collochiamo cronologicamente nel romanico maturo, inoltre questo tipo di argomento si deve studiare in contrapposizione dialettica rispetto all’architettura cluniacense.
Con architettura cistercense intendiamo un’architettura di carattere religioso che è stata espressa dall’ordine benedettino riformato dei cistercensi, i cistercensi sono a tutti gli effetti dei monaci benedettini, ovvero si collocano nella cultura monastica espressa da San Benedetto, che era vissuto tra il V ed il VI secolo, considerato fondatore del monachesimo occidentale. Nel periodo che prendiamo in considerazione ci troviamo di fronte ad una serie di movimenti riformatori e i monaci non vedono più l’antico motto “ora et labora” come era vissuto all’origine, pertanto alcune figure emergono per mettere in discussione questi nuovi stili di vita e per provare a recuperare quello antico. Uno di questi movimento è quello cistercense, che dal punto di vista storico vede nella figura di Roberto di Molesme il fondatore di una nuova comunità monastica, nella quale voleva proporre un ritorno alla purezza delle origini, in particolare il filone più contrastato era lo stile di vita monastica cluniacense, cioè quello che ruotava attorno all’abbazia di Cluny (che aveva puntato molto sulla liturgia ed aveva dato vita ad un’architettura molto ricca, elaborata e sfarzosa, che era intesa a servizio di questa liturgia). Roberto porta a compimento questa riforma mettendo in discussione lo stile di vita cluniacense; il luogo nel quale prende vita questa comunità monastica è Citeaux in Borgogna. L’ordine era organizzato intorno al motto “ora et labora”, però Roberto di Molesme e gli abati che lo seguono vogliono trovare una mediazione tra questi due termini, a Cluny i monaci tendevano a concentrarsi eccessivamente alla preghiera e trascuravano il lavoro, per i cistercensi bisognava recuperare il rapporto con le antiche scritture e bisognava anche trovare un nuovo spazio per il lavoro, per questo l’abbazia doveva essere autosufficiente.
Uno dei documenti più importanti sulla base del quale possiamo capire la storia dell’ordine è la “carta caritatis”, tra i veri aspetti che venivano trattati in questo documento c’era quello del rapporto tra i vari monasteri, i quali dovevano essere improntati ad un principio di uguaglianza ed equità in modo che attraverso il confronto si potesse arrivare alla soluzione di eventuali problemi (rifiutano almeno all’inizio l’idea di un’abate supremo).
Per recuperare l’importanza del lavoro e per dedicare un giusto tempo alla preghiera i cistercensi sviluppano la figura del converso, che è un laico che vive insieme ai monaci ed assumono il ruolo di lavoratori.
Un’altro aspetto importante riguarda il capitolo generale, costituito da tutti gli abati delle varie abbazie che si ritrovano per discutere dei vari problemi dell’ordine, con lo spirito di collaborazione ed unità, questo spirito l’avrebbe dovuto garantire l’istituto giuridico dell'affiliazione (ovvero c’era l’abbazia madre di Citeaux e quattro “figlie” di La Ferté, Morimond, Clairvaux e Fontenay, dalle quali nascono numerose altre abbazie).
L’ordine si espanse velocemente ma di certo questo ordine non avrebbe avuto questo successo se non fosse intervenuto nell’ordine la figura di San Bernardo di Chiaravalle, il quale mise in evidenza il ruolo della Madonna e diede una sistemazione teologica all’ordine stesso, attraverso l’utilizzo della meditazione e della contemplazione.
L’architettura interessa sopratutto l’arco che va dal XII al XIV secolo, la sua importanza deriva dagli influssi che diede agli orientamenti successici; abbiamo già detto che il cistercense si colloca all’interno del romanico maturo, infatti lo spazio è romanico (sopratutto possiamo fare questa affermazione se pensiamo all’illuminazione degli ambienti interni, anche se iniziarono ad introdurre alcuni elementi che verranno utilizzati dal gotico, come ad esempio la campata quadrata, l’arco a sesto acuto, però tutti questi elementi li usano ancora con una sensibilità romanica, le loro chiese hanno sempre un evidente senso plastico di massa, lo spazio è controllato attraverso mezzi geometrici e matematici, fondata sui contrafforti più che sugli archi rampanti), elementi che oltre che nel gotico, troveremo in Italia negli ordini mendicanti, la cui mentalità verrà ripresa dall’architettura fiorentina tardo-gotica e rinascimentale.
Anche per quanto riguarda l’architettura Bernardo di Chiaravalle ha avuto un grande influsso, sopratutto laddove nei suoi scritti ha evidenziato la necessità di realizzare edifici semplici, facilmente costruibili, diventando più economico e sopratutto permette di ottenere in termini architettonici dei risultati semplici e chiari (non si tratta mai di una architettura decorata ma semplice e scarna, se compaiono delle decorazioni sono elementi prevalentemente geometrizzanti che tendono all’astratto, tutto l’opposto di quel vivacissimo apparato decorativo che era tipico del romanico borgognone di quel tempo, dove l’attenzione del fedele era attirata dall’apparato decorativo); per Bernardo il fedele non deve essere distratto da immagini mostruose ma deve solo pregare e meditare, per raggiungere Dio.
Per quanto riguarda la progettazione degli interni spesso si parla di progettazione “ad quadratum”, ovvero si vuole indicare quel metodo compositivo che si basa sul ricorso a campate regolari, prevalentemente a pianta quadrata, quindi lo spazio complessivo scaturisce proprio dalla combinazione di moduli quadrati, utilizzati in maniera romanica.
Anche nelle proporzioni di pianta ed elevato generalmente si rispettano proporzioni geometriche precise, che oltre a dare garanzie dal punto di vista strutturale, dovevano anche permettere un proporzionamento particolare degli edifici stessi.
Anche gli spazi monastici vengono articolati in una maniera prefissata, la chiesa monastica ha un’impianto basilicale a tre navate, a croce latina, un’altra particolarità delle chiese cistercensi (sopratutto le prime) è quello di avere nella zona absidale delle cappelle a pianta quadrata o rettangolare. Ci sono poi due aree, una riservata strettamente ai monaci ed una riservata ai conversi, tutti questi spazi sono articolati attorno ad un cortile a pianta quadrata che si chiama chiostro, il quale, oltre ad introdurre all’interno delle architetture uno spazio verde, doveva permette ai monaci di passeggiare e di proseguire la lettura delle sacre scritture senza distrazioni, inoltre permetteva di disimpegnare i vari spazi abitativi dell’abbazia (questo schema generalmente accomuna  tutte le abbazie).
Troviamo poi la sala capitolare (ovvero quella destinata all’incontro) e poi via di seguito gli altri ambienti, generalmente articolati in due piani.
C’è da dire che i cistercensi erano molto versatili, nel senso che è vero che abbiamo utilizzato uno schema architettonico a cui aderiscono la maggior parte delle abbazie, però a seconda delle risorse del territorio le architetture venivano realizzate in maniera diversa; una delle risorse che erano prese in grossa considerazione era la presenza di acqua, utilizzata anche per la coltivazione dei campi o come energia; di conseguenza l’architettura doveva essere molto pratica e doveva rispondere anche alle esigenze produttive, oltre che favorire la preghiera.
Il modello che abbiamo analizzato è quello che poi venne elaborato nelle epoche successive, non bisogna pensare che fosse lo schema preferito da Roberto a partire dalla fondazione di Citeaux (si dice che i primi insediamenti fossero dei ripari improvvisati).
Il tipo di progettazione ad quadratum, che viene praticata dai cistercensi (e che diventerà un’elemento importante dell’architettura gotica) da vita a quello spazio che viene definito ideologico, uno spazio che non è esperienziale (non è uno spazio pensato per essere scoperto durante la visita), ma è uno spazio nel quale esiste un’idea (che è il modulo base) e nel momento che il visitatore capisce che quello è il modulo base la comprensione dell’edificio è immediata (non avviene così per il romanico delle origini). Per l’architetto cistercense è necessario che le strutture e gli spazi siano comprensibili chiaramente, sia nel momento in cui vengono costruiti che nel momento in cui vengono utilizzati, non ci devono essere distrazioni; addirittura alcuni storici hanno parlato di iconoclastia bernardiana, ovvero la lotta contro le immagini, proprio perché Bernardo aveva respinto l’eccesso di decorazioni di Cluny.
Nell’abbazia di Fontenay possiamo vedere come lo spazio sia coperto da una volta a botte, intercalata da una serie di arcate che danno un ritmo visivo e strutturale nello scarico dei pesi; gli archi non sono a tutto sesto, ma non sono neanche a sesto acuto come saranno nell’architettura gotica; lo spazio è sì illuminato però il visitatore si sente avvolto dall’architettura, nel senso che l’architettura in questo caso è massa che lavora per gravità, l’elemento di massa è preminente (non è un baldacchino che fa ombra, come accadrà nell’architettura gotica, i pilastri non sono ancora fascicolari e non sono snelli e slanciati verso l’alto, l’architettura gotica è pensata come un diaframma per la luce). Per quanto riguarda il sistema strutturale complessivo, il sistema sfruttato è quello spingente, ma lo schema riprende un po’ le soluzioni dell’architettura  romana, con nella navata centrale una volta a botte continua e ritmata dalle arcate, però abbiamo a contraffortare le spinte della navata abbiamo una serie di altre volte a botte (a sesto acuto), che si sviluppano su assi perpendicolari a quello longitudinale della navata.
L’alzato comprendeva volte a botte ad arco spezzato (longitudinali nel corpo della chiesa e nelle cappelle, trasversali nelle navatelle e nei bracci del transetto) e graduato in altezza secondo una rigida scalatura  che privilegia la grande croce tracciata dalla navata, coro e transetti, illuminati direttamente solo dalle testate terminali e, in basso, dalle striature oblique delle luci provenienti dalle finestre delle navatelle. Diversa rispetto alle precedenti architetture monastiche è anche la disposizione degli edifici: in ambito
benedettino spesso è libera, talvolta condizionata dall’andamento territoriale o dalle preesistenze; mentre i cistercensi disponevano i complessi secondo uno schema ben preciso: intorno al chiostro, un quadrato perfetto affiancato alla chiesa, di solito sul fianco meridionale, si succedevano gli ambienti dove si svolgeva la vita monastica (sacrestia, sala capitolare, parlatorio, cucina, refettorio, dormitori, ecc.).
Sul discorso dei cantieri scuola  bisogna parlare del fatto che i cistercensi hanno contribuito a sviluppare certe competenze nel campo dell’edilizia, proprio perché ogni cantiere aveva una serie di figure così ben organizzate ed una padronanza tale dell’edilizia che questo faceva scuola, inoltre questa organizzazione accurata e razionale permetteva il trasferimento di saperi da un cantiere all’altro.

domenica 12 ottobre 2014

Il romanico in Italia

Le principali motivazioni che nell’Occidente europeo hanno originato la conformazione della chiesa romanica, rispetto ai caratteri dell’edilizia religiosa dei secoli precedenti, riguarda la generale necessità di ampliare e sistemare diversamente l’area del presbiterio, sia per ricavare lo spazio necessario per il clero (ormai molto numeroso), sia per consentire un’officio maestoso e solenne dei riti, dapprima distribuite in tutta la chiesa ed ora concentrate nell’altare maggiore. La risposta a tale esigenza si trova nella forma assunta dal coro, che diventa coro deambulato di dimensioni sempre maggiori.
La seconda motivazione si riferisce al modo di concepire ed immaginare l’edificio religioso, che diventa momento centrale e determinante della vita dell’uomo medioevale; l’oggetto architettonico è quindi sentito come una struttura che gradualmente tende a diventare forma, composta da una massa muraria grave e forte, articolata secondo membrature poste a scandire lo spazio.
Secondo una formula sommaria e semplicistica, la formazione dell’architettura romanica può essere assimilata alla trasformazione della basilica cristiana, che è un edificio dotato di un sistema strutturale discontinuo e coperto a tetto, ad una fabbrica interamente coperta a volte, tale da presentare una completa continuità di strutture murarie, anche se il processo di trasformazione è molto lungo ed articolato, giungendo a maturazione soltanto nella seconda metà dell’XI secolo.
Il processo di formazione dell’architettura romanica sintetizzato e riassunto come la progressiva conquista della capacità di costruire un organismo strutturato e coperto con volte, secondo una forma articolata ed aderente alla funzione d’uso ed alla solidità statico-costruttiva. Tale sviluppo è di consueto ipotizzato come uno sviluppo lento, svolto attraverso diverse fasi successive, inoltre di fondamentale importanza sono le premesse storiche che durante il Medioevo si possono riscontrare in varie parti d’Europa, infatti la copertura di un ambiente attraverso l’utilizzo di una volta, seppur di piccole dimensioni, viene sempre considerato dagli architetti medioevali.
Un secondo motivo è quello che indica ai costruttori del X secolo l’opportunità di realizzare l’intera copertura impiegando le volte, per allontanare il pericolo degli incendi, mediante la sostituzione della muratura al legname. La terza ragione riguarda il desiderio di assicurare i migliori effetti acustici al canto corale, funzione di fondamentale importanza specialmente nelle comunità monastiche.
La chiesa romanica costituisce il risultato di un impulso originario in cui l’uomo medioevale vuole raffigurare in un’immagine architettonica la manifestazione tangibile della presenza del divino nella vita quotidiana; l’espressione linguistica di tale richiesta è quella già detta e lungamente maturata nei secoli VII-X, che tende a tradurre la struttura muraria nei valori di massa plastica coerente ed omogenea, determinando il carattere e la qualificazione figurale dell’edificio.

 

 

La chiesa di Sant'Ambrogio a Milano







Sant’Ambrogio milanese (coro 784, absidi 940, atrio 1098), che presenta un corpo a tre navate iniziato nel 1080 ma coperto da volte solo dopo il disastroso terremoto del 1117, qui la partitura della grande navata impiega la tipologia delle chiese di pellegrinaggio a navata cieca, in quanto bloccata dalle collaterali e dalle gallerie sovrapposte, ma nello stesso tempo ne modifica fortemente le proporzioni, rinunciando allo slancio verticale (tipicamente francese), adotta invece una conformazione bassa e larga quasi priva di luce dalle arcate, dalle volte e dai matronei. La forza delle membrature che scandiscono con ritmo largo e grave la grandiosa successione delle campate cupoliformi risalta nella luce radente che penetra dagli arconi della facciata, in contrasto con l’ombra diffusa delle navatelle. La facciata è composta da un loggiato su grandi arcate, corrisponde ad una pianta rettangolare, a tre navate senza transetto.
E’ un’architettura che meglio sintetizza temi che riguardano il mondo paleocristiano e temi provenienti dal nord (in quanto l’Italia era in forte ritardo nella costruzione di edifici a crociera), si tratta poi di un’architettura che elabora e trasmette questi temi alle architetture successive sia in Italia centrale che in quella del sud. L’architettura della chiesa è formata da due elementi essenziali, la chiesa vera e propria e il quadriportico (un elemento che appartiene all’architettura paleocristiana); il razionalismo nella progettazione di questa struttura porta all’uso di un modulo molto significativo, cioè se noi guardiamo la pianta della chiesa notiamo

 

La chiesa di San Michele a Pavia

San Michele a Pavia (1120-1150), che nel corpo delle navate riprende la tipologia ambrosiana, ma ne rifiuta la soluzione a nave cieca, rialzando i muri della navata principale sopra il livello delle gallerie per aprirvi delle finestre. Qui troviamo la presenza del transetto sporgente, l’abside è diverso da quello di Sant’Ambrogio in quanto riprende le architetture del nord, il rapporto tra la dimensione delle navatelle e la navata centrale sono invece temi ripresi dalla basilica milanese, quindi c’è un proporzionamento dello spazio interno ed in più l’uso del pilastro a stella. Ma l’elemento più importante che diventa caratteristico di questa architettura è la facciata, tripartita attraverso la costruzione di due poderosi pilastri, la presenza di un nuovo elemento che diventa quasi costante nelle architetture emiliane e toscane, ovvero le loggette sommitali le quali hanno una lontana origine romana e bizantina (che diventa una reinterpretazione di un tema già visto, ovvero gli archetti pensili).

 

Cattedrale di San Gimignano a Modena






La cattedrale di San Gimignano a Modena eretta tra il 1099 ed il 1110 dal lombardo Lanfranco.
Organismo semplice su pianta rettangolare, tre absidi, senza transetto, articolato su campate doppie di pilastri alternati a colonne, falsi matronei, grande cripta e presbiterio; presenta un nuovo tipo di facciata è un esempio importante per la complessità del suo insieme, ovvero se noi guardiamo la facciata notiamo elementi che abbiamo visto prima, ma notiamo la presenza di due spioventi (rialzato quello centrale), la suddivisione in tre parti e l’uso delle loggette e del protili; elemento completamente nuovo è l’uso del tema della loggetta anche sulle altre fronti della chiesa (come elemento unificatore di tutti i prospetti), inoltre troviamo la forte presenza della cripta. Lo spazio interno ed il verticalismo rimandano alle architetture del nord, il tema della nave cieca di Sant’Ambrogio qui viene risolto con la presenza di un’architettura al di sopra del matroneo.
L’interno è stato gravemente alterato mediante la sostituzione dell’originale copertura ad arconi trasversali e tetto piano con pesanti volte a crociera a sesto acuto costolonate, con l’inclusione di uno pseudo-transetto basso e di un’enorme rosone sulla facciata; l’esterno sviluppa il ritmo agile e slanciato di una serie continua di archi triforati, che unifica fianchi ed absidi dell’edificio.
L’originalità dell’opera di Lanfranco è quella di aver tradotto il linguaggio lombardo (cioè romanico) con una concezione figurativa che non è più romanica, in quanto ha rinunciato alle motivazioni di ordine statico-strutturale e le ha sostituite con una visione rigorosa e cristallina. Lanfranco rinuncia alla copertura a volta, rinunciando così alla poetica romanica della massa-struttura, e vi contrappone una visione ritmica di spazi e superfici, priva di tessitura strutturale e senza primari e diretti riferimenti d’ordine statico e costruttivo.

 

 

La chiesa di San Zeno a Verona




Sempre nell’ambito della cultura lombarda, i monumenti veronesi costruiti in questo periodo manifestano influssi franco-normanni, sono invece modenesi le influenze che incidono nella zona anteriore della grande chiesa benedettina di San Zeno (1120), originando dopo il 1150 la costruzione di due arconi trasversali, che presumibilmente avrebbero dovuto estendersi all’intera navata, ma questa proposta e quella originaria (che prevedeva il completamento naturale della partitura delle semicolonne, mediante una sovrapposta copertura a volta) vennero abbandonate e il vano ricevette una copertura a tetto piano, che si definisce quale corpo estraneo rispetto al resto della struttura.
La facciata è stata il modello a cui si ispirarono tutti gli interventi romanici veronesi. Un unico portale d’accesso è collocato sotto un protiro (una sorta di baldacchino a mensola), quest’ultimo composto da due colonne poggiate su piedistalli che reggono una piccola volta a botte posta sotto due spioventi.
Il corpo longitudinale, privo di transetto, è tripartito da pilastri cruciformi alternati a colonne che conducono all’abside semicircolare prolungata da un vano quadrato.